
Quindi è finito maggio. Ma come è successo, esattamente? Quand’è che siamo passati dalla settimana bianca alla prova costume? (Questa di per sé una tragedia su cui eviterei di soffermarmi, per ora.)
La consapevolezza di aver “saltato” la primavera mi irrita non poco. È la mia stagione preferita, la mia temperatura preferita, la mia natura preferita. E io l’ho vista scivolar via da dietro un vetro.
Le sporadiche uscite che ho deciso di concedermi durante la “quarantena stretta” erano sempre ammantate di una certa malinconia. La città era luminosa e verdeggiante, come i giardini del paradiso. Il sole dolce, il cielo terso, la brezza lieve. Eppure, c’era qualcosa di scomposto.
Una sottile inquietudine faceva da sfondo ai miei passi e un’inafferrabile senso di pericolo mi rendeva guardinga e sospettosa. Cos’era? Forse le figure sinistre che si aggiravano tra le strade vuote del centro? O gli sguardi inquisitori che i rari passanti mi rivolgevano da sopra la mascherina? No, no…
Era il permeante silenzio denso, la perfetta immobilità di un mondo sospeso. Vivevo una realtà di cristallo: bellissima e tetra.
Maggio è finito e nessuno potrà restituirmi le giornate, i profumi e le passeggiate che sono andate perdute. Ma il mondo è tornato a respirare. Mi sembra già abbastanza per essere felici.